«Le tre ghinee»: uno scritto profetico - CorrieredelMezzogiorno.it

2022-09-11 22:52:56 By : Ms. Cara Shih

Scrissi anni fa su questo giornale, parlando del senso del limite, che il mio «libro della vita» è Guerra e pace perché sperimentai la mia limitatezza, a quindici anni, con una bocciatura dovuta a quel libro e alle giornate passate a divorarlo, invece di studiare gli aoristi greci. Ci sono altri libri che hanno segnato delle svolte, come luoghi simbolici d’incontro con i loro autori. Tra i primi, un saggio di Lucien Séve dal titolo Marxisme et théorie de la personnalité , che metteva a fuoco le contraddizioni che ostacolano lo sviluppo della personalità nell’economia capitalista. Vi feci riferimento nella mia tesi di laurea, nel ’71, e influenzò le mie scelte professionali, con Asylum di Goffman e L’istituzione negata di Basaglia e lo studio di quei libri mi spinse a lavorare per i successivi vent’anni nei carceri minorili e nel manicomio giudiziario. Nello stesso periodo, alla Mensa dei bambini proletari di Montesanto appena aperta, conobbi Lucia Mastrodomenico da cui sentii parlare per la prima volta del testo di Virginia Woolf , Le tre ghinee , che dava nome alla cooperativa di donne creata con Lina Mangiacapre fondatrice del gruppo femminista delle Nemesiache.

Di Woolf avevo letto due romanzi La signora Dalloway e Gita al Faro , e i viaggi nel tempo, nella vita e i pensieri dei personaggi erano stati una meravigliosa scoperta. Ma Le tre ghinee fu una lettura decisiva, dirompente sulle diseguaglianze tra uomini e donne, sulla violenza, il potere e la guerra. È preziosa ancor oggi, per il cumulo di circostanze che hanno cambiato la vita a tutti: dalla pandemia alla guerra, dal risorgere d’idee sovraniste al razzismo suprematista, fino al rialzare la testa di un’idea di famiglia e maternità di segno patriarcale. Un pozzo senza fondo, uno scritto profetico, Le tre ghinee , pubblicato nel 1938 mentre la Seconda guerra mondiale stava per fare dell’Europa un immenso mattatoio, e vale la pena rileggerlo mentre i media di tutto il mondo ci rimandano immagini di fosse comuni, macerie, fiumane di bambini e donne in marcia verso chissà quale meta di salvezza.

L’autrice immagina di rispondere a tre lettere che contengono una richiesta di denaro per tre cause: prevenire la guerra che si sentiva avvicinarsi, sovvenzionare un’università femminile e sostenere le donne che vogliano esercitare una professione. Nella sua risposta Woolf mostra come le tre cause siano interconnesse e come alla radice vi sia il meccanismo millenario - dal mito di Pandora in poi - che lega violenza, patriarcato e totalitarismo. Ora come allora, ogni donna potrebbe dire con lei: «In quanto donna non ho patria, in quanto donna la mia patria è il mondo intero », e rispondere all’immaginaria lettera: «...la risposta alla vostra richiesta non può essere che una - il modo migliore per aiutarvi a prevenire una guerra non è di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi ». Woolf si chiede se il pensiero, l’emozione, il dubbio che la fanno esitare sulla proposta di entrare in un gruppo dedicato a dare un «contributo concreto alla prevenzione della guerra » rappresenti «qualcosa di più profondo, di più fondamentale. Di una differenza, forse. È da questa differenza che può venirvi l’aiuto, se aiutarvi possiamo, per difendere la libertà e per prevenire la guerra ». La parola «differenza», cioè l’architrave del pensiero di Woolf, entra di prepotenza e rende così spinoso e attuale il testo, anche a quasi cent’anni di distanza. L’autrice non cade nella trappola falsamente «etica» della responsabilità nemmeno nel testo «Pensieri di pace durante un’incursione aerea» scritto del 1940 durante la battaglia d’Inghilterra e uscito postumo nel 1942. «I tedeschi erano su questa casa la notte scorsa e quella prima. Eccoli di nuovo. È una strana esperienza stare sdraiati al buio e sentire il ronzio di un calabrone che in qualsiasi momento può pungerti a morte. È un rumore che interrompe il pensiero freddo e coerente della pace. Eppure è un rumore che assai più delle preghiere e degli inni dovrebbe costringerci a pensare alla pace. A meno di non riuscire a pensare alla pace, ognuno di noi, ognuna di noi – non questo corpo qui, in questo letto, bensì milioni di corpi non ancora nati – rimarremo al buio ad ascoltare questo rantolo di morte sulla testa. … Ma c’è un altro modo di combattere per la libertà – senza armi; possiamo combattere con la mente. Possiamo “fabbricare” idee, che aiuteranno il giovane uomo inglese che combatte su in cielo a sconfiggere il nemico. … Ma perché le idee siano efficaci, dobbiamo essere in grado di spararle. Dobbiamo metterle in atto. Così il calabrone in cielo risveglia un altro calabrone nella mente. Tutti quelli che producono le idee, e sono in grado di attuarle, sono uomini maschi. … Ecco un pensiero che affossa il pensiero, e incoraggia l’irresponsabilità. Perché allora non sprofondare la testa nel cuscino, turarsi le orecchie e abbandonare la futile attività di produrre idee? ... “Hitler!” esclamano unanimi gli altoparlanti. Chi è Hitler? Che cos’è Hitler? Aggressione, tirannia, amore forsennato del potere, rispondono. Distruggetelo, e sarete liberi. Sulla mia testa ora il rimbombo degli aerei è come la sega sul ramo di un albero. Va in tondo, e sega il ramo proprio sopra la mia casa. … Cerchiamo di portare alla coscienza l’inconscio hitlerismo che tutti ci opprime: è il desiderio di aggressione; il desiderio di dominare e di schiavizzare ».

In poche pagine questo testo fa piazza pulita di mille divagazioni sul tema del disarmo e della pace, del totalitarismo e di tutto ciò che ci opprime, a cominciare dalla guerra. Terminato il testo, Woolf scrisse nel suo diario: «Hitler dunque sta accarezzando i suoi spinosi baffetti. L’intero mondo trema: e il mio libro sarà forse come una farfalla sopra un falò consumato in meno di un secondo ». E invece… Bisognerebbe rileggere anche Una stanza tutta per sé , del 1929, sulle donne e il romanzo, le donne e la scrittura. Nel suo stile, con un ritmo che ricorda il volo del famigerato calabrone, il passo leggero e ancorato nella propria condizione - essere donna, ricco di metafore e divagazioni sul filo di mille giravolte senza mai smarrirsi - paragonabile al viaggio in meandri immaginari di Alice nel paese delle meraviglie , Woolf scrive una delle sue pagine più dense e dolorose immaginando che Shakespeare avesse una sorella «… meravigliosamente dotata, chiamata Judith, poniamo.… Era altrettanto desiderosa di avventura, altrettanto ricca di fantasia, altrettanto impaziente di vedere il mondo quanto lo era lui. Ma non venne mandata a scuola ». (Nemmeno Virginia, trecento anni dopo Judith, venne mai mandata a scuola). «Di tanto in tanto prendeva in mano un libro, magari uno di quelli di suo fratello, e ne leggeva alcune pagine. Ma a quel punto arrivavano i genitori e le dicevano di rammendare le calze o badare allo stufato e smetterla di fantasticare fra libri e fogli di carta ». Virginia segue Judith nella sua fuga da casa fino a Londra, dove si ferma davanti a un teatro alla porta degli attori: «Voleva recitare, disse. Quegli uomini le risero in faccia. … alla fine Nick Greene, l’attore impresario, ebbe compassione di lei; la ragazza si ritrovò incinta di quel gentiluomo e così - chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna? - si uccise, in una notte d’inverno, ed è sepolta nei pressi di un incrocio, là dove oggi si fermano gli autobus vicino a Elephant and Castle ». I suicidi venivano seppelliti ai crocicchi, in terra sconsacrata.

Virginia-Judith si abbandonò alla corrente del fiume Ouse con le tasche piene di sassi, nel 1941, trascinata dal montare di ciò che definiva, nei diari, come «l’onda» e «l’orrore». Su quella stessa onda le sue opere letterarie, i saggi, tutta la sua prosa e il flusso di coscienza da cui prende forza e forma, continuano a scorrere e fluire nel nostro tempo, tanto che Carla Lonzi, tra le più importanti teoriche del femminismo, può rinnovare nel 1970 il lungo viaggio di Woolf in Sputiamo su Hegel !, riprendendo il tema della costruzione del «soggetto imprevisto» che, ora come allora, è compito delle donne. E ci riusciranno (ci riusciremo): «se guarderemo in faccia il fatto – perché è un fatto – che non c’è neanche un braccio al quale appoggiarci ma che dobbiamo camminare da sole … allora si presenterà l’opportunità, e quella poetessa morta, che era la sorella di Shakespeare, riprenderà quel corpo che tante volte ha dovuto abbandonare. Prendendo vita dalla vita di tutte le sconosciute che l’avevano preceduta, come suo fratello aveva fatto prima di lei, lei nascerà ». E Virginia con lei.

Mentre scrivo, il mondo si è fermato davanti alla morte di Elisabetta II, l’ultima Matriarca - come ha scritto Gaby Hinsliff in un bellissimo articolo su «The Guardian» pubblicato su «Feminist Post» (https://feministpost.it/dal-mondo/elizabeth-lultima-matriarca/) - che alla morte di Woolf era già l’erede al trono. Ma è solo una coincidenza. Così com’è una coincidenza che Virginia fosse anche il nome di mia madre. Sarà per questo che ho scelto Le tre ghinee come «libro della vita»? Rivolgersi all’inconscio, please. L’Io non sa rispondere.

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