Marmo di Carrara, ecco cosa succede dentro le cave - Corriere.it

2022-09-11 22:50:55 By : Ms. Hiho wang

Carrara e marmo, un binomio indissolubile

Nella città apuana la «pietra che splende» è stata per secoli sinonimo di identità locale: dall’estrazione al commercio, passando per la lavorazione, il settore marmo è da sempre pilastro dell’economia cittadina. Il comparto registra però un consistente numero di infortuni sul lavoro, un vero e proprio bollettino di guerra: 12 incidenti mortali negli ultimi tredici anni, 1206 feriti. E si tratta di un dato parziale, visto che dal 2017 l’osservatorio infortuni dell’Asl locale non è stato attivo per una riorganizzazione della struttura interna. Gli incidenti sono diminuiti rispetto agli anni Cinquanta o Sessanta – furono, ad esempio, 22 i decessi nel comparto solo nel 1965 – ma mai del tutto terminati: le condizioni di lavoro – spesso estreme – continuano così a dar luogo a una lunga scia di infortuni. Sono molti i modi in cui si muore di marmo: schiacciati dai blocchi o dagli escavatori in manovra, sommersi dalla frana di un versante, colpiti dalle perline del filo diamantato sparate come proiettili dai macchinari che squadrano il materiale. A parlare con i cavatori sembra quasi che la montagna, ad un certo punto, ti presenti il conto. Di ben altro avviso i rappresentanti dei sindacati, che rifiutano l’ineluttabilità degli incidenti. Pianeta marmo

Quello del marmo di Carrara è un complesso industriale che perde le sue origini nel tempo: utilizzato già nel I secolo a.C. dai Romani e scelto da Michelangelo per le sue opere più note, il minerale è ancora oggi fra i più famosi e richiesti al mondo. Adesso come allora, protagonisti di questo settore sono i «cavatori», gli operatori dell’estrazione, nonché gli artigiani e gli operai di segherie e laboratori di lavorazione, largamente diffusi ai piedi delle Apuane. Nati a Carrara, Massa o nei paesini di versante, gli uomini del marmo crescono insieme, sviluppando legami profondi con chi di fatto un domani diventerà loro collega, responsabile della sicurezza o datore di lavoro. Ma non solo. Il settore è uno dei pochi dove agli operai capita di lavorare fianco a fianco con titolari e capocava. Non è un caso che qui il termine cavatore abbia duplice valenza e indichi sia l’operaio che i suoi superiori. In questo mondo soggetti con ruoli differenti difficilmente si contrappongono, e il senso di appartenenza alla comunità lavorativa può talvolta vincere sulle denunce per infortunio o per sicurezza precaria. «Quando c’è un infortunio non c’è mai una posizione, c’è una difesa corporativa. Spesso il capocava magari è il cognato del padrone, il fratello del padrone, il loro amico. Non c’è una distinzione dei ruoli» dice Paolo Gozzani Segretario Cgil Carrara Il monte dà, il monte prende

Dall’alto di un vecchio sentiero si vedono gli operai gesticolare sul piano di cava: dirigono ritmicamente il traffico degli escavatori, che muovono blocchi e scaricano detriti come fossero briciole di pane. «Da quando ci sono ‘ste macchine in cava, non ci si rende più conto di quanto siano pesanti i blocchi» racconta Umberto, un ex operaio che lavora con il marmo fin dagli anni Settanta. D’estate sulla pelle dei cavatori si vede tutta l’abbronzatura di ore e ore passate a lavorare all’aria aperta. Sveglia alle cinque meno un quarto e poi fuori in cantiere, con un sole cocente a picco sul capo, riflesso ovunque dal bianco del minerale. Cambiano le stagioni ma non le condizioni di lavoro: d’inverno la sveglia suona un po’ più tardi, ma bisogna affrontare le strade ghiacciate e scivolose, le superfici del minerale gelide, la nebbia, la neve. Quello del cavatore è un lavoro soggetto a condizioni climatiche estreme: da poco sono state installate le colonnine metereologiche per interrompere i turni quando le temperature salgono o scendono troppo. Non si potrebbe lavorare col ghiaccio, né sopra i 35 gradi, ma non tutti gli imprenditori sono disposti a bloccare il flusso della produzione a causa del meteo. Una situazione che migliora nelle cave in galleria, dove però bisogna fare i conti con il tasso di umidità elevatissimo, il rimbombo delle ventole, il buio perenne. «Una volta in cava lavoravano i “bagasci”, operai giovanissimi che, a detta dei lavoratori di oggi, erano agili come gatti. Ora sono le macchine ad essere veloci, e i cavatori non riescono a tenere il passo» dice Andrea Figaia Segretario Cisl Massa-Carrara L’imprevedibilità delle Apuane

Strapiombi che toccano quasi i 10 metri, filoni di marmo discontinui e instabili, versanti friabili: chi lavora in cava deve necessariamente fare i conti con l’imprevedibilità delle Apuane. Si dice che in passato i cavatori più esperti sapessero riconoscere i pericoli ascoltando i rumori delle fratture del monte. Adesso è l’insistente frastuono dei macchinari a far da sottofondo. Gli operai si trovano a combattere anche una lotta impari con apparecchi automatizzati che non hanno turni né stanchezza, che producono a prescindere da orari, temperatura, rischi, compensi. «Noi stiamo lavorando con la natura, e ogni tanto a forza di scavarla – pugnalarla, come diciamo noi – succede quello che non dovrebbe succedere. Il rischio c’è sempre, però questo lavoro non lo cambierei con nessun’altro al mondo. Quale ufficio avrà mai un paesaggio del genere?», racconta Mirco, cavatore. Il panorama dalle cave è mozzafiato: lì, dall’alto, si domina tutta la piana sottostante, la città di Carrara, fino ad arrivare alla costa. Sotto ricatto

Dal 2016 la Regione Toscana e la Procura di Massa, in seguito ai numerosi incidenti, hanno attuato uno sforzo consistente per migliorare i controlli e la prevenzione degli infortuni. Sono 3,2 i milioni di euro investiti nella sicurezza in cava e in segheria, con un forte aumento dei controlli sul posto di lavoro. Da quando sono state messe in atto queste nuove misure, gli incidenti sono diminuiti, ma garantire l’abbattimento del rischio in un ambiente in cui i pericoli sono di natura così varia non è stato possibile. Il timore è anche che i numeri delle denunce non riflettano la realtà. Alcuni cavatori parlano di ricatto occupazionale, sebbene non si tratti di una situazione generalizzabile per ogni cava. Non denunciare le situazioni a rischio equivale a mettere a repentaglio la propria vita. Denunciarle, tuttavia, significa firmare un documento contro la propria cava, andando incontro a un probabile licenziamento. «Tanti hanno paura di denunciare o segnalare quali sono le cose che non vanno. Ci sono certi capocava che ti dicono “se non ti va bene, quello è il cancello”» dice Gianluca., Lega dei Cavatori. Negli ultimi anni la questione della sicurezza sembra essere diventata urgente anche nel settore logistico del comparto. Secondo i rappresentati dei sindacati, in questo campo i contratti sarebbero sempre più precari e non tutti gli operatori dello stoccaggio sarebbero sufficientemente formati a gestire un lavoro tanto specifico e rischioso. Qual è l’alternativa però? I dati sulla situazione lavorativa del territorio sono stati a lungo scoraggianti. Nonostante in quest’ultimo anno la quota dei senza impiego si attesti al 10,4%, dal 2014 al 2017 il tasso di disoccupazione della provincia ha oscillato dai due ai sei punti percentuali in più, raggiungendo il picco del 16,6% nel 2016. Sul piatto della bilancia finiscono dunque pesi di diverso genere: uno stipendio, la propria salute, ma anche il legame con i propri colleghi, con il titolare, talvolta anche con la propria famiglia. Nel frattempo, gli uomini del marmo continuano a lavorare, minuscoli di fronte alle bancate che li sovrastano, alle macchine che lavorano implacabili, alle ferree regole di una professione che non fa sconti ai suoi lavoratori. La replica del presidente di Confindustria Massa Carrara Erich Lucchetti

Autorizzaci a leggere i tuoi dati di navigazione per attività di analisi e profilazione. Così la tua area personale sarà sempre più ricca di contenuti in linea con i tuoi interessi.